UBICAZIONE E CONFINI 

Venosa è un comune italiano di 11 488 abitanti della provincia di Potenza, in Basilicata, situato nell’area del Vulture-Melfese. Nota anche come “città oraziana” per aver dato i natali al poeta latino Quinto Orazio Flacco, è uno dei comuni iscritti all’associazione “I borghi più belli d’Italia”. 

La presenza delle prime comunità umane nell’area di Venosa risale al Paleolitico inferiore, testimoniata dal ritrovamento di numerosi strumenti di pietra dalla tipologia già molto progredita (amigdale), tipiche di quel periodo. In età tardo antica a Venosa, oramai ridimensionata nel suo ruolo originale, anche grazie alla presenza di una fiorente comunità ebraica dedita al commercio, incominciò a diffondersi il messaggio cristiano, soprattutto però nelle aree extraurbane (di qui la presenza di alcuni piccoli edifici religiosi fuori le mura). Nel 238, Filippo, nominato vescovo di Venosa, a capo di una numerosa comunità cristiana, diede inizio al lento processo di sostituzione del potere religioso a quello civile nell’amministrazione della città. L’affermarsi quindi del potere vescovile come espressione della nuova classe dirigente locale portò lo stesso vescovo ad assumere via via anche poteri e prerogative proprie dell’amministrazione civile.

L’inarrestabile declino, iniziatosi con la deviazione della via Appia, si protrasse fino al crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Lo sfaldamento dell’impero determinò l’arrivo dei popoli cosiddetti barbari, e quindi prima i Bizantini nella prima metà del 500 e successivamente i Longobardi occuparono i territori dell’ex regione lucana, dividendola amministrativamente in Gastaldati. Venosa in età alto medievale vide arretrare sensibilmente i suoi confini nord-orientali e quindi ridursi il suo perimetro urbano. Accanto a tale fenomeno, si ebbe anche una forte contrazione demografica e un costante abbandono delle campagne ormai divenute meno sicure.

Sotto i Longobardi la città, ricompresa nel gastaldato di Acerenza, era governata da un conte che esercitava il suo potere su delega del gastaldo. A tale periodo si fa risalire la prima struttura fortificata altomedievale che, stando alle ipotesi più accreditate, sorgeva sull’area dell’attuale Istituto dei Padri Trinitari, già Convento di Sant’Agostino e poi Seminario diocesano. Sotto la dominazione saracena Venosa dovette subire ulteriori saccheggi e distruzioni che mortificarono ulteriormente la già precaria condizione economica. Nell’866 Lodovico II, re dei Franchi, di passaggio da Venosa diretto al monastero di Monte Sant’Angelo, liberò la città dai Saraceni. Dopo la sua partenza, la città ricadde in mano bizantina, e dopo l’ultimo saccheggio saraceno del 926, resterà in mano bizantina fino all’arrivo dei Normanni (1041). In tale periodo, l’arrivo dei Benedettini a Venosa, provenienti dai territori dell’attuale Campania, segnò un momento importante nella plurisecolare storia della città. Infatti, la loro presenza favorì una sensibile ripresa urbana che trovò nella costruzione della abbazia della SS. Trinità il punto più alto. La ripresa urbana, già avviatasi sul finire del X secolo per opera dei monaci basiliani e appunto benedettini, ricevette una robusta intensificazione in epoca normanna. Nella spartizione delle terre conquistate dai Normanni, la città venne assegnata a Drogone della famiglia degli Altavilla (1043) che, in qualità di signore assoluto, la tenne in allodium cioè come patrimonio familiare. In tale periodo si ebbe la rifondazione del monastero benedettino della S.S. Trinità che, con i Normanni, divenne il massimo centro del potere religioso, tanto che questi lo destinarono a luogo di sepoltura dei membri della famiglia degli Altavilla. A partire da questo momento, il monastero divenne beneficiario di continue donazioni che nel corso dei secoli costituiranno il cosiddetto Baliaggio della Trinità, abolito e smembrato dai francesi nel primo decennio del 1800. Lo stato di floridezza e di prosperità dell’importante edificio religioso raggiunse il culmine sul finire del XII secolo, quando i monaci benedettini decisero di intraprendere il grandioso progetto di costruzione di una nuova chiesa che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto avere dimensioni più che ragguardevoli. Molto probabilmente, la eccessiva grandiosità del progetto e la crisi in cui precipitò il monastero subito dopo l’inizio dei lavori, determinarono l’interruzione dell’impresa, con la quale si esauriva la parabola di crescita della città. Durante il periodo svevo, Venosa venne dichiarata città demaniale, cioè appartenente direttamente alla corona. Da ciò conseguirono numerosi privilegi che permasero anche nel primo periodo di dominazione angioina.

Dopo un periodo di stasi protrattosi fino al 1831, la città fece registrare un ripresa demografica, passando dai 6.264 abitanti nell’anno in corso ai 7.140 del 1843. Tale incremento, insieme con la non mai sopita aspirazione al possesso della terra, determinò l’insorgenza popolare del 1848. La rivolta ebbe inizio alle 11 di notte del 23 aprile quando, al suono di trombe e tamburi i contadini invasero in armi le strade del paese. Nel clima arroventato che si era venuto creando, nei giorni successivi si ebbero due omicidi, oltre a numerosi soprusi e intimidazioni. La triste vicenda si concluse dopo circa un mese con il solenne impegno dei possidenti locali che, in un seduta allargata del Consiglio decurionale, sottoscrissero la cessione di un quinto di alcuni corpi demaniali, così da poter procedere alle contestuali quotizzazioni. Nel 1861, ancora una volta nel mese di aprile, Venosa fu teatro di un terribile episodio di violenza cittadina. Il giorno dieci alle ore 18.30, infatti, il generale Carmine Crocco alla testa di un nutrito gruppo di briganti assaltò la città che, dopo un breve tentativo di resistenza, fu invasa dalle orde dei briganti e rimase alla mercé degli stessi tre giorni prima di essere liberata dagli uomini della Guardia Nazionale. Durante l’occupazione, furono commessi numerosi eccidi, oltre a rapine e numerose violenze di ogni genere, tanto che, con deliberazione del Consiglio comunale del 23 ottobre 1861 si stabilì che “nel giorno 10 aprile alle ore 18.30 precise di ciascun anno, dal 1862 in avvenire suonino in questo comune tutte le campane mortuarie”.

A partire dall’unificazione nazionale, la città, dal punto di vista urbanistico, incominciò a subire alcune trasformazioni che, successivamente, portarono alla costruzione del “quartiere nuovo” (per la prima volta dalla fondazione della colonia romana la città si proietta in aree fino a quel momento mai interessate dall’edificazione) posto nella zona di Capo le mura (attuale via Luigi La Vista) a sinistra e a destra della antica rotabile per Maschito. In tale periodo, siamo sul finire dell’Ottocento, la città contava circa 8.000 abitanti e si apprestava a vivere un periodo di favorevole congiuntura economica, alimentata soprattutto anche dalle rimesse dei lavoratori emigrati in America Latina. Per tutto il periodo che va dagli inizi del Novecento al secondo dopoguerra, la città permase in una situazione socio – economica di sostanziale uniformità con il resto della regione, caratterizzata, come è noto, da un diffuso e consolidato arretramento. Nel secondo dopoguerra, il vento delle riforme varate dai primi governi repubblicani investì anche Venosa che, a partire dal 1950, con l’approvazione della legge di riforma fondiaria, vide la progressiva parcellizzazione dell’antico latifondo costituitosi, come abbiamo visto, dopo le leggi di eversione. La Riforma diede finalmente sbocco alle tensioni dei braccianti disoccupati, costretti a vivacchiare alla mercé del padronato. Tuttavia, le mutate condizioni economiche generali del Paese spinsero gli assegnatari ad abbandonare progressivamente le quote e ad emigrare verso il Nord Italia in fase di rapida industrializzazione. Nonostante tutto, la tensione sociale, già manifestatasi in più occasioni con l’occupazione di terre incolte dopo i decreti Gullo, prima della approvazione della riforma fondiaria, non si era del tutto placata. Nell’inverno del 1956, infatti, un tragico episodio di insorgenza popolare portò alla morte, colpito da arma da fuoco, del giovane disoccupato Rocco Girasole. Negli anni successivi, la città, in linea con il trend nazionale fece registrare notevoli passi in avanti tanto da diventare la moderna e vivibile cittadina che oggi si presenta agli occhi di quanti hanno il piacere di visitarla.

 

2. MONUMENTI DI INTERESSE STORICO

Abbazia della SS. Trinità (XII secolo nucleo originale)

L’abbazia della SS. Trinità, situata all’estremo limite della città, sorge là dove un tempo era il centro politico economico della città. Essa si compone di tre parti: la chiesa antica, fiancheggiata a destra da un corpo di fabbrica avanzato che costituiva un tempo il luogo riservato ad accogliere i pellegrini (foresteria, a piano terra, monastero al piano superiore); la chiesa incompiuta, i cui muri perimetrali si sviluppano dietro la Chiesa antica e in prosecuzione sul medesimo asse; e il Battistero, probabilmente una chiesa paleocristiana con due vasche battesimali, da questa separato da breve spazio. I primi interventi di costruzione della chiesa antica, effettuati su un edificio paleocristiano risalente al V – VI secolo, a sua volta edificato sulle rovine di un tempio pagano dedicato al dio Imene, debbono farsi risalire tra la fine del 900 e gli inizi dell’anno 1000. L’impianto della chiesa è quello tipico paleocristiano: ampia navata centrale di metri 10,15 di larghezza, navate laterali rispettivamente larghe metri cinque, e abside sul fondo e cripta del tipo a “corridoio”. I muri e i pilastri appaiono decorati da affreschi databili tra il XIV e il XVII secolo (Madonna con Bambino, Santa Caterina di Alessandria, Niccolò II, Angelo Benedicente, Deposizione). All’interno, accanto agli affreschi citati, si segnalano la tomba marmorea di Aberada, moglie di Roberto il Guiscardo e madre di Boemondo eroe della prima crociata e, di fronte, la tomba degli Altavilla, testimonianza della loro devozione e del loro particolare attaccamento all’edificio religioso.

Il tempio incompiuto, il cui ingresso è sormontato da un arco semicircolare impreziosito dal simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, si presenta di dimensioni grandiose (copre una superficie di 2073 metri quadrati). L’impianto è a croce latina con transetto molto sporgente nei cui bracci sono ricavate due absidiole orientate. L’interno è caratterizzato dalla presenza di molti conci di pietra provenienti dal vicino anfiteatro romano (epigrafe latina che ricorda la scuola gladiatoria venosina di Silvio Capitone, un bassorilievo raffigurante una testa di Medusa, ecc.). La crisi in cui precipitò il monastero benedettino subito dopo l’inizio dei lavori di ampliamento, fu certamente la causa della interruzione degli stessi che non vennero mai portati a termine. Di fronte all’ingresso si notano i resti di un ampio muro curvilineo; è quanto oggi rimane del Battistero o più probabilmente di un edificio basilicale con due vasche battesimali.

 

Catacombe Ebraico-Cristiane (III – IV secolo)

Nei pressi della collina della Maddalena, a poco più di un chilometro di distanza si trovano le Catacombe ebraiche. Occupano la zona di detta collina e si articolano in vari nuclei di notevole interesse storico e archeologico. Una fila di grotte scavate nel tufo e in parte franate, preannuncia la presenza delle Catacombe Ebraiche e Paleocristiane. All’interno si trovano loculi parietali e nel suolo. Le nicchie (arcosolii) contengono due o tre tombe oltre a loculi laterali per bambini. Esse furono scoperte nel 1853 (la documentazione completa relativa alla scoperta è conservata nell’archivio storico) e presentavano segni indelebili di saccheggio e di devastazione. In fondo alla galleria principale svoltando a sinistra si segnalano numerose epigrafi (43 del III e del IV secolo) in lettere dipinte di rosso o graffite. Di queste, 15 sono in lingua greca, 11 in lingua greca con parole ebraiche, 7 in lingua latina, 6 in lingua latina con parole ebraiche, 4 in lingua ebraica, e altre 4 sono in frammenti.

La comunità ebraica, il cui nucleo originale era verosimilmente ellenistico, come si rileva dalle epigrafi, era per lo più costituita da commercianti e da proprietari terrieri. Non pochi suoi esponenti assunsero importanti cariche nel governo cittadino. Anche a Venosa gli ebrei concentravano nelle loro mani il potere economico, detenendo il monopolio del commercio del grano, dei tessuti e della lana. Nel 1972 un altro sepolcreto fu scoperto nella collina della Maddalena, la Catacomba Cristiana del IV secolo, il cui ingresso originario era posto a circa 22 metri dal piano del sentiero che porta alla Catacomba Ebraica. Nel corridoio di accesso in quell’occasione furono rinvenuti 20 arcosoli, 10 per parete, oltre a parti di lucerne ed una intera di argilla rossa del tipo così detto a perline risalente al IV – II secolo a. C. Fu ritrovata, inoltre, una lucerna di argilla chiara, caduta da una nicchietta, di tipo mediterraneo ed una lastra sepolcrale attribuita all’anno 503.

 

Il Castello ducale del Balzo (XV secolo)

Nel punto dove è posto il maniero, vi era in precedenza l’antica Cattedrale dedicata a S. Felice, il Santo che, secondo la tradizione, subì il martirio a Venosa all’epoca dell’Imperatore Diocleziano. L’antica Cattedrale fu abbattuta per far posto alla fortificazione quando, nel 1443, Venosa venne portata in dote da Maria Donata Orsini, figlia di Gabriele Orsini principe di Taranto, a Pirro del Balzo, figlio di Francesco duca di Andria. I lavori di costruzione del Castello, incominciati nella seconda metà del XV secolo, proseguirono per alcuni decenni. L’aspetto originario era ben lontano da quello odierno: si presentava, infatti, come una fortificazione a pianta quadrata, difesa da una cinta muraria dello spessore di 3 metri, con torri cilindriche angolari, privo degli stessi bastioni che furono completati nella metà del secolo successivo. Nato come postazione difensiva, successivamente, con i Gesualdo divenne dimora del feudatario. 

Passato ai Ludovisi come bene del feudo, esso venne completamente abbandonato, e la violenza delle scosse sismiche che ripetutamente si abbatterono nel corso di tutto il Seicento ne minarono la struttura e la funzionalità. Alla ricostruzione dell’antico maniero, con l’aggiunta di parti più adatte ai tempi, come l’elegante loggiato al piano nobile, provvidero i Caracciolo (successori nel feudo ai Ludovisi) nell’intento di riaffermare il potere signorile sulla città sempre più lontana dai vasti del glorioso passato.

L’ingresso originario non era quello attuale, esso si apriva sul lato nord – est, ed era munito di ponte levatoio. Attualmente, all’inizio del ponte di accesso, vi sono due teste di leone provenienti dalle rovine romane: elemento ornamentale tipico e ricorrente in una città che nel passato ha fatto largo uso di materiale di spoglio. All’interno del Castello, nel cortile si affaccia il loggiato a pilastri ottagonali del secolo XVI.

Casa di Orazio

Sito risalente al I secolo d. C. meglio nota come Casa di Quinto Orazio Flacco

Una struttura costituita da ambienti termali di una casapatrizia, composti da una sala rotonda che costituiva il calidario e di unattiguo vano rettangolare. La facciata mostra visibili tratti di struttureromane rivestiti di mattoni a legatura reticolata.

 

Mausoleo del Console Marcus Claudius Marcellus

Ubicata lungo una parallela dell’attuale via Melfi, della tomba è impossibile sapere il suo stato originario per quanto riguarda la forma e le dimensioni. Nel 1860, alla base della stessa fu rinvenuta un’urna cineraria in piombo che, aperta, mostrò, sul fondo, uno strato basso polveroso; ciò che rimaneva dei resti umani di un personaggio della Venusia romana della fine del I secolo a.C. – primi decenni del I secolo d. C. In tale circostanza furono trovati, inoltre, alcuni frammenti di vetro un pettine e un anellino d’argento.

 

MUSEI

Museo Archeologico Nazionale di Venosa

Inaugurato nel novembre del 1991. Al suo interno, il percorso museale si snoda attraverso una serie di sezioni che illustrano le varie fasi di vita della città antica, a partire dal periodo precedente la romanizzazione, documentato da ceramica a figure rosse e da metariali votivi (terrecotte, bronzi tra cui un cinturone) di IV – III sec. a.C. provenienti dall’area sacra di Fontana dei Monaci di Bastia (odierna Banzi) e da Forentum (Lavello). Dominano questa sezione il corredo funerario di un bambino, contenente la statuetta del toro Api, ed il famoso askos Catarinella con scena di corteo funebre (fine IV – III sec. a.C.). Nei camminamenti del castello si ripercorre la vita dell’antica Venusia dal momento della sua fondazione, con la ricostruzione dell’impianto urbano e i più importanti documenti della fase repubblicana (le terrecotte architettoniche, la produzione ceramica a vernice nera, gli ex – voto dalla stipe sotto l’anfiteatro, la ricca monetazione in bronzo). Molto significativa e consistente si presenta la raccolta epigrafica che permette di ripercorrere le tappe più importanti della storia del centro antico, come il riassetto della colonia nel I secolo a. C., ben rappresentate dal templum augurale bantino, ricostruito nel Museo, con cippi iscritti per trarre gli auspici, e da un frammento della famosa Tabula bantina, con testi legislativi su entrambi i lati, rinvenuto nei pressi di Oppido Lucano nel 1967. Le epigrafi, alcune delle quali ricordano magistrati impegnati nel rifacimento di strade o nella costruzione di infrastrutture come l’acquedotto, sono soprattutto di carattere funerario con un notevole numero di cippi iscritti, stele centinate, coperchi di arca (la c.d. “arca lucana”), monumenti funerari con busti e statue a grandezza naturale e ricchi fregi dorici, che dal I a. C. fino al IV secolo d. C. costituiscono una preziosa testimonianza della stratificazione sociale della città.

 

Museo del Paleolitico – Luigi Pigorini

A circa nove chilometri dalla città moderna, in un’area collinare che si estende fino alle grotte artificiali di Loreto si trova il Sito Paleolitico di Notarchirico, costituito da un’area museale coperta allestita e affidata dall’Istituto Paleolitico Luigi Pigorini di Roma. Il rinvenimento e la scoperta delle prime testimonianze della presenza umana in epoca pretostorica, si devono alla passione e alla capacità scientifica dell’avv. Pinto e del prof. Briscese che, nell’estate del 1929, effettuarono le prime ricognizioni sul territorio, portando alla luce i primi significativi reperti. Le successive campagne di scavo hanno consentito di ritrovare una serie di frammenti dell’uomo preistorico oltre a numerosi resti di animali ora estinti (elefante antico, bisonte, bue selvatico, rinoceronte, cervidi, ecc.).

Fra gli strumenti rinvenuti si ricordano i bifacciali. Un cranio di Elephas anticuus è stato ritrovato durante gli scavi del 1988. Le ricerche proseguono da parte della Soprintendenza Speciale in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Basilicata, con l’Università di Napoli “Federico II” e con il Comune di Venosa. Nel settembre del 1985 è stato ritrovato un femore umano frammentario fortemente fossilizzato attribuito ad un individuo femminile di età adulta. Il femore appartenuto probabilmente ad un Homo erectus, è il più antico resto umano ritrovato nell’Italia Meridionale e presenta alcuni aspetti patologici, studiati dal prof. Fornaciari, consistenti in una neoformazione ossea, forse il risultato di una osteoperiostite conseguente ad una ferita profonda alla coscia subita dall’individuo in vita. Il femore è stato dato in studio ai laboratori dell’Istituto di Paleontologia Umana di Parigi e la sua datazione, attribuita usando il metodo del disequilibrio sella serie dell’uranio, risale a circa 300.000 anni fa. Ci si arriva percorrendo la Strada Provinciale Ofantina altezza passaggio a livello Venosa Spinazzola, e poi imboccando la Strada Statale 168 dopo il bivio per Palazzo San Gervasio.

 

Parco Archeologico (Domus, Terme, Anfiteatro, Battistero Paleocristiano)

Orientale della città (tra le attuali chiese di San Rocco e SS. Trinità). Essi sono attribuibili al periodo traiano-adrianeo, periodo di intensa attività edilizia, specie nel settore pubblico. Degli ambienti termali nel loro complesso restano le tracce un Tepidariumcon i piastrini in mattoncini che sostenevano il solaio di calpestio e le tracce di un frigidarium che presenta una pavimentazione musiva a motivi geometrici e zoomorfi. Delle numerose domus private, probabilmente risalenti al periodo della deduzione coloniale del 43 a.c., edificate su alcune fornaci di età repubblicana e ristrutturate agli inizi del I secolo dopo Cristo, vi sono numerose testimonianze.

Sulla parte opposta dellastrada che taglia in due l’area archeologica sorgeva l’Anfiteatro. Senza dubbio l’edificio pubblico che meglio rappresentae simboleggia la Venosaromana. La sua costruzione può farsi risalire all’età giulio-claudia(repubblicana), per le parti in muratura in opera reticolata, ad una fase piùtarda risalente all’età traiana-adrianea (imperiale) per l’opera muraria mista.Sul modello degli altri anfiteatri costruiti nel mondo romanizzato, sipresentava in forma ellittica con i diametri che misuravano all’incirca m. 70 x210. Queste dimensioni, secondo alcuni calcoli, consentivano una capienzaapprossimativa di 10.000 spettatori. Con il declino della Venusia romana, l’anfiteatro fu letteralmente smontato pezzo perpezzo e i materiali sottratti furono utilizzati per qualificare l’ambienteurbano della città. Alcuni leoni in pietra che attualmente troviamo all’internodell’abitato, provengono infatti, dalle rovine dell’anfiteatro.

 

Fontana Angioina o dei Pilieri (XIII secolo)

Lo splendido monumento deve la sua origine al privilegio concesso alla città da re Carlo II d’Angiò nell’anno 1298, con il quale, tra le altre cose, veniva istituito un corpo di ispettori locali, incaricati oltre che della manutenzione della fontana, anche del controllo degli acquedotti che la alimentavano. Essa è situata nel luogo dal quale, fino al 1842, si accedeva alla città attraverso la porta cittadina detta appunto “fontana”. Alle sue estremità sono posti due leoni in pietra provenienti dalle rovine romane (il primo pressoché integro, tiene sotto la zampa una testa di montone).

 

Fontana di Messer Oto (XIV secolo)

Edificata tra il 1313 e il 1314, a seguito del privilegio concesso dal re Roberto I d’Angiò con il quale si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato. Essa è dominata dalla mole imponente di un leone in pietra di origine romana.

 

Fontana di San Marco (XIV secolo)

La sua esistenza è documentata a partire dalla prima metà XIV secolo e la sua costruzione si suppone si deve al privilegio concesso da re Roberto con il quale si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato. E’ detta di San Marco perché si ergeva di fronte alla chiesa omonima.

 

Cattedrale di Sant’Andrea apostolo (XVI secolo)

Edificata a partire dal 1470, e per oltre un trentennio, essa fu innalzata nel punto i cui sorgeva l’antica chiesa parrocchiale di San Basilio, al centro di un’ampia piazza che ospitava officine di fabbri e molte botteghe di artigiani, le une e le altre demolite per far posto al sacro edificio cui è annesso il campanile alto 42 metri a tre piani cubici e due a prisma ottagonali, una cuspide piramidale con grande sfera metallica in cima, sormontata da una croce con banderuola. Il materiale per la costruzione, fu preso dall’Anfiteatro Romano e questo spiega il perché siano inseriti nell’edificio iscrizioni latine, e pietre funerarie (col vescovo Perbenedetti a capo della diocesi dal 1611 al 1634, di cui sin notano i due stemmi, si arrivò alla messa in opera delle campane, molto probabilmente nel 1614 in coincidenza con lo svolgimento del primo sinodo diocesano).

L’impianto della chiesa è costituito da tre navate modulari da archi a sesto acuto. L’edificio di notevole mole non offre all’esterno particolari caratteristiche, se non nel tratto posteriore, in corrispondenza della zona presbiterale. Nella chiesa alcune insegne dei del Balzo occupano in un cartiglio la sommità delle arcate. Nella cripta si trova il monumento funebre di Maria Donata Orsini moglie di Pirro del Balzo. A sinistra dell’ingresso principale in alto sono murati i bassorilievi rappresentanti tre simboli degli evangelisti: il leone, il bue, il librone in scrittura molto primitiva. Vi sono anche alcune cappelle, tra le quali si segnala quella del SS. Sacramento, il cui arco d’ingresso risale al 1520. Essa ha due affreschi di soggetti biblici: Giuditta e Oloferne, e Davide e Golia.

 

Chiesa San Filippo Neri, detta del Purgatorio (XVII secolo)

La Chiesa fu edificata per volontà del vescovo Francesco Maria Neri (1678 – 1684). Si evidenzia la caratteristica del campanile che fa corpo con la bella e sobria facciata, tutta fregi, volute, nicchie e pinnacoli, opera si suppone, di un architetto romano, fatto venire a Venosa verso il 1680 dal Cardinale Giovanni Battista De Luca, all’epoca uditore di Papa Innocenzo XI. Nell’interno si trovano belle colonne tortili ed un San Filippo dipinto attribuito a Carlo Maratta (1625 – 1713).

 

Chiesa di San Martino dei Greci (XIII secolo)

Antica dipendenza urbana del Monastero italo-greco di San Nicola di Morbano, di extramoenia, venne edificata intorno alla seconda metà del XIII secolo. Dopo la soppressione di San Nicola, alla stessa furono annessi i titoli e possessi relativa alla Commenda di Morbano. Nel 1530 venne unita al Capitolo della Cattedrale e rimase parrocchia fino al 1820. Presenta un portale ornato da capitelli di tipo corinzio e nell’interno una antica tavola bizantina (oggi temporaneamente trasferita in cattedrale), raffigurante la Madonna dell’Idria. Il portale della sacrestia porta l’insegna del giglio di Francia. In questa antica chiesa è custodito anche un bel dipinto raffigurante Santa Barbara, patrona e protettrice dei minatori e degli artiglieri.

 

Chiesa di San Michele Arcangelo

(XVI secolo), già Chiesa intitolata a San Giorgio

I lavori di edificazione della chiesa, con annessa la torre detta di Monsignore, iniziarono presumibilmente nel 1613, quando i fratelli Orazio e Marco Aurelio, della famiglia Giustiniani patrizi genovesi, originari dell’isola greca di Chio, a seguito della istituzione della nuova commenda di San Giorgio di Chio, dell’Ordine gerosolimitano, volendo rendere la nuova commenda conforme allo schema classico avrebbero fatto costruire la chiesa di San Giorgio, che sarebbe stata il “capo” della commenda, e una “buona casa che sarà comoda da habitatione per la residenza del Commendatore”. Detta chiesa, già sul finire del XVII secolo cambiava intitolazione in San Michele e la torre di Monsignore veniva adibita a residenza estiva del vescovo. Al momento non siamo in grado di fornire le motivazioni di questo cambio di intitolazione della chiesa, ma è evidente che la comune origine iconografica dei due Santi “soldati di Cristo” che brandiscono l’arma contro il satanasso, va comunque presa in considerazione.

 

Chiesa di San Domenico (XVIII secolo)

Edificata per volere di Pirro del Balzo allora duca di Venosa. Si presenta profondamente rimaneggiata rispetto al disegno originario, per i gravissimi danni subiti dal tragico terremoto del 1851 quando, dovette essere riedificata con le elemosine dei fedeli e grazie alla generosità di Ferdinando II di Borbone, come ricorda una lapide murata all’interno. Di notevole interesse è il trittico marmoreo inserito nella facciata.

 

Chiesa di San Rocco (XVI secolo)

Fu edificata nel 1503, quando la città fu colpita dalla pestilenza, in onore del santo che da quella terribile sciagura l’avrebbe poi liberata. Successivamente fu ricostruita dopo il terremoto del 14 agosto del 1851.

 

Chiesa di San Biagio (XVI secolo)

Risalente al XVI secolo, fu costruita probabilmente sui resti di un precedente edificio religioso. Malgrado le sue non ragguardevoli dimensioni, risulta essere uno degli episodi architettonici più significativi nel processo di riqualificazione dell’ambiente urbano avviato in quel periodo. Chiusa al culto da diversi decenni, offre al visitatore una facciata di particolare interesse dovuto alla presenza di robuste semicolonne ad essa addossate, oltre al portale a bugne alternate sormontato da un frontone a dalle numerose modanature della cornice. Particolarmente interessanti sono i medaglioni in pietra tenera laterali raffiguranti lo stemma di Pirro del Balzo e lo stemma dei principi Ludovisi.

 

Chiesa di San Giovanni (XVI secolo)

Edificata probabilmente su una preesistente chiesetta medievale, le prime notizie della sue esistenza risalgono al 1530, anche se si suppone – come si diceva – sia di origine più antica. Risulta essere stata completamente rifatta nella seconda metà del secolo XIX, a seguito terremoto del 1851. Della stessa si segnala lo splendido campanile a cuspide.

 

Monastero della Madonna delle Grazie (XV/XVI secolo)

Edificata nel 1503 e consacrata nel 1657, l’originaria ubicazione era a circa duecentocinquanta passi dalle mura della città, lungo il tracciato dell’antica Via Appia. Nel 1591, a seguito dei lavori di ampliamento della stessa, fu fondato il convento dei frati minori dei Cappuccini. Il convento fu eretto sotto il titolo di San Sebastiano, secondo la povera forma cappuccina. Le celle erano 18 oltre una stanzetta esterna utilizzata per alloggiare i pellegrini. I frati del convento vivevano di elemosine del popolo venosino e dei paesi circostanti. Il convento venne ampliato nel 1629 con l’aggiunta di 5 nuove celle con una spesa di circa 200 ducati. Fu definitivamente abbandonato nel 1866 a seguito della emanazione delle norme di soppressione degli ordini religiosi. La chiesa era riccamente decorata con stucchi ed affreschi; al centro della volta a botte della navata centrale vi era rappresentato il “Giudizio di Salomone”, mentre nelle lunette laterali vi erano affrescati i santi francescani ed il Cristo Redentore. Dopo l’abbandono del convento da parte dei padri Alcantarini, subentrati ai cappuccini nell’ultimo periodo, dell’edificio venne utilizzato solo lo spazio di culto occupato dalla chiesa. A partire dai primi anni del XX secolo, il convento venne utilizzato come luogo di residenza, subendo pertanto rimaneggiamenti e modifiche tali da soddisfare le esigenze poste dalla nuova destinazione d’uso. Successivamente, a partire dagli anni Sessanta, il convento subisce progressivamente un grave degrado strutturale causato, principalmente del suo stato di totale abbandono e dagli atti di vandalismo perpetrati nella più totale indifferenza. Con i lavori di restauro avviati in occasione del Giubileo del 2000, viene recuperato l’impianto tipologico originario e viene effettuato il ripristino strutturale dell’edificio. Non è stato possibile però recuperare gli affreschi e gli stucchi che ornavano l’intera navata centrale coperta dalla volta a botte lunettata. Oggi, dopo il restauro, l’edificio si presenta su due livelli: il primo composto da una cappella con navata centrale a pianta rettangolare, rappresenta il nucleo più antico dell’intero complesso, terminante con una zona absidale divisa dal resto da un arco trionfante e, a sinistra, da una navata laterale; il secondo si compone di tre corridoi ortogonali tra di loro attraverso i quali si accede alle celle conventuali organizzate lungo il perimetro esterno ed interno dell’edificio con affacci all’interno del chiostro e in parte sui prospetti esterni. La disposizione degli ambienti è semplice e le celle, molto piccole, recano i segni della povertà e del peso della vita monastica fatta di meditazione, preghiera ed elemosine. La torre campanaria, aggiunta in epoca successiva, è innestata in parte sulla volta a botte della chiesa e parte su quella di un ambiente sottostante del convento.

 

Monastero di Montalbo sotto il titolo di San Benedetto (Nucleo originale risalente XI secolo).

Ubicata a circa due chilometri dal centro abitato, la sua costruzione risalirebbe intorno al 1032. Alla stessa era annessa un monastero femminile, successivamente trasferitosi entro le mura, che contava fino a un massimo di trenta religiose. All’interno sono visibili alcuni affreschi di antica mano.

 

Chiesa di Santa Maria della scala (intra moenia)

La chiesa cui è annesso il convento femminile di clausura dedicato a San Bernardo, del quale la piazzetta antistante (attuale Piazza Giovani Ninni) rappresentava il giardino interno, furono costruiti alla fine del XVI secolo per volontà del vescovo dell’epoca Fra Rodolfo da Tossignano per ospitare le monache benedettine. La Chiesa fu consacrata nel 1662 dal vescovo Giacinto Taurusio.

 

Palazzo del Capitano o del Comandante (XVII secolo)

Tra i palazzi di Venosa costruiti in questo periodo si distingue, per la singolarità dell’impianto tipologico e per il pregio architettonico che è dato dal parametro di pietra viva che lo riveste. Il grande edificio, inserito nel contesto urbano del quartiere di S. Nicola, viene costruito sul filo dello strapiombo del vallone del Ruscello al quale offre la sua facciata principale. Le arcate cieche che sorreggono le strutture affacciate sul vallone, percepibili anche da molta distanza, costituiscono l’espressione di una notevole arditezza costruttiva.

 

Palazzo Calvini (XVIII secolo)

Edificio unitario la cui facciata completa,in forma classicheggiante appartenuto alla famiglia Calvini, dal 1876 è sede del Municipio. Una testimonianze di notevole interesse storico,si pensi alla simmetria e ben proporzionata della facciata, sulla scalinata una tavola marmorea (Fasti Municipali) di considerevoli dimensioni riporta i nomi dei magistrati che a Venosa si succedettero in epoca romana dal 34 al 28 a.C. Elemento figurale del palazzo sono:  il portale e i mascheroni in pietra inseriti nella facciata del palazzo.

 

Palazzo Rapolla (XIX secolo)

Noto per aver dato ospitalità a Ferdinando II di Borbone e al brigante Crocco ubicato sull’angolo degli attuali vico Sallustio e vico San Domenico la cui realizzazione interessa un intero isolato. Sul retro del corpo di fabbrica principale viene lasciato un vasto cortile su cui si affacciano una serie di ambienti che erano adibiti a stalle, granai, magazzini per la raccolta di sale e per la polvere da sparo. Il cortile accessibile da un ampio portale che consentiva il passaggio dei carri da trasporto, costituisce un singolare spazio di caratterizzazione della morfologia urbana. All’epoca i Rapolla erano i più grandi proprietari terrieri della zona e avevano la loro residenza nel palazzo omonimo situato accanto al Convento di San Domenico.

 

Palazzo Dardes

Viene costruito in seguito alla ristrutturazione del tracciato stradale (attuale via De Luca) che va a convergere nella piazza della Cattedrale, la quale con la costruzione del palazzo Vescovile, ha accresciuto il proprio peso all’interno della struttura urbana. Il palazzo è definito da un cortile di ingresso (cui si accede attraverso un portale) che reca, sul concio di chiave, uno stemma ecclesiastico in pietra finemente scolpito intorno al quale si organizzano gli ambienti disposti su due piani. L’innovazione è data dalla presenza di un loggiato al piano superiore che si apre sia sulla corte che sul fronte di affaccio alla strada. Il motivo architettonico della loggia assume notevole rilievo estetico.

 

Palazzo Episcopale

Annesso alla Cattedrale, il palazzo episcopale si presenta come una degli interventi più significativi realizzati nel corso del XVII secolo. La facciata, non molto elevata, è segnata dalle grandi finestre del piano superiore e da due portali sormontati da stemmi ed epigrafi. Il più antico porta la data del 1620, l’altro, il principale, lavorato a bugne quella del 1639.

 

Palazzo del Balì

(Nucleo originale risalente al XIV secolo. Riadattata a edificio moderno nel XIX secolo).

Costruito intorno a cavallo tra la seconda metà XV e la prima metà del XVI secolo, e restaurato nel 1500 dal Balì Frate Arcidino Gorizio Barba. Sull’intera area antistante il palazzo, delimitata a quell’epoca da un perimetro di colonnine con in cima la croce di Malta in metallo, collegate tra loro con catene, vigeva il diritto d’asilo. Dopo la soppressione dell’Ordine avvenuta – come è ampiamente noto – nel periodo napoleonico, i beni del Baliaggio di Venosa, tra i quali il palazzo balivale, passarono al demanio dello Stato. Il palazzo, diviso, in lotti, fu venduto a diversi proprietari. Nella seconda metà dell’800, unificato nella sua struttura originale da un unico proprietario, il sacerdote Giuseppe Nicola Briscese, fu da quest’ultimo donato al fratello Mauro che, nel 1894, provvide al rifacimento e alla ristrutturazione dell’intero edificio e della facciata. Oggi, dopo una serie di vicissitudini, ritornato all’antico splendore è adibito a residenza alberghiera.

 

Palazzo Episcopale

Annesso alla Cattedrale, il palazzo episcopale si presenta come una degli interventi più significativi realizzati nel corso del XVII secolo. La facciata, non molto elevata, è segnata dalle grandi finestre del piano superiore e da due portali sormontati da stemmi ed epigrafi. Il più antico porta la data del 1620, l’altro, il principale, lavorato a bugne quella del 1639.